Artista geniale.. o Follia?
E’ ormai fatto noto che la creatività e la follia siano divisi da un labile confine.
Nell’immaginario collettivo contemporaneo il confine è quasi del tutto annullato, si tende a fondere genio e follia: un connubio indissolubile, ritenuto necessario affinché si manifesti l’atto creativo.
E’ innegabile che tale fusione eserciti un forte fascino sui fruitori dell’arte.
Molti sono i pittori che sin dall’antichità hanno rappresentato la follia nell’arte e spesso è emerso, dall’interpretazione delle opere, che fosse proprio l’autore ad essere soggiogato da essa. Nei tempi antichi, troviamo una rappresentazione della follia intesa come alterazione della personalità umana in una figura simbolica dei Tarocchi: L’Arcano, immagine nelle quale confluivano elementi astrologici magici e umani ispirati all’antica scienza della cabala.
Nel Rinascimento la Follia inizia ad avere un trattamento diverso e diventa oggetto di indagine. Alla fine del ‘400, soprattutto nell’area culturale del Nord Europa, ci si focalizza sull’argomento con trattati, scritti e numerose rappresentazioni. In seguito alla pubblicazione de “L’Elogio della Follia”, di Erasmo da Rotterdam, il folle inizia ad essere considerato come una “persona diversa”, sia per i valori, sia per la sua filosofia di vita, a differenza dei periodi precedenti in cui era considerato un rappresentante terreno del Demonio, da esorcizzare mediante apposite pratiche, fino alla messa al rogo.
Il più singolare interprete della follia nella pittura della fine del ‘400 è il noto pittore fiammingo Hieronymus Bosch (1450-1516). Colto, visionario, ermetico, regista di mondi fantastici e al contempo inquietanti, lascia un’eredità iconografia all’arte contemporanea di notevole importanza. Nei suoi dipinti fluttuano e convivono creature fantastiche e mostruose avvolte da una delirante atmosfera surreale. Nonostante le interpretazioni delle sue opere siano state sempre approssimative, per la difficoltà dell’individuazione di un esatto significato dei soggetti e dei simboli dipinti, ciò che accomuna le sue opere è la rappresentazione della follia dell’umanità, precipitata nell’oblio del vizio e della corruzione. Bosch realizza alla fine del ‘400 due opere che raffigurano in modo eloquente e diretto la follia. La prima è “La cura della follia”, una chiara denuncia ironica sulle incapacità curative dell’arte medica, che a quell’epoca vantava poteri superiori. La scena è raffigurata in modo surreale ed esilarante: un chirurgo, con una lunga veste ed un imbuto come copricapo, è intento ad estrarre dalla testa di uno stolto delle pietre ( che nella credenza popolare nordica erano la causa della follia), sostenuto da due improbabili aiutanti dall’aspetto per nulla rassicurante. La seconda opera è “La nave dei folli”, di notevole bellezza compositiva: la scena descrive un delirante banchetto su una nave alla deriva, alludendo metaforicamente alla punizione riservata ai peccatori di gola. L’utilizzo nel dipinto, come in tutti i suoi dipinti, di una simbologia di non facile interpretazione, rende l’opera in parte criptica.
Come Bosch, anche il suo conterraneo Brughel il vecchio (1525-1569) con le sue figure grottesche e fantastiche, ispirate alla cultura dei Paesi Bassi, continuerà a rappresentare nei sui dipinti i vizi, le virtù e la follia del suo tempo.
Nel corso dei secoli la Follia continua ad essere rappresentata nell’arte, intrisa di retaggi iconografici e culturali rinascimentali, fino ad arrivare all’Ottocento. periodo in cui il tema della follia nell’arte viene affrontato in diverso modo.
La pittura diviene testimonianza e non più denuncia. Rinunciando alle deformazioni grottesche che nei secoli precedenti aveva contrassegnato i malati psichici, l’arte cerca di penetrare, attraverso l’oggettiva descrizione pittorica di questi individui, l’aspetto doloroso della natura umana.
Ne sono chiara testimonianza la serie di ritratti di malati mentali, dipinti dal pittore francese Theodore Gericault (1791-1824), ricoverati presso l’ospedale della Salpetriere di Parigi.
Alla fine dell’ottocento con la nascita della psicoanalisi, grazie ad un geniale signore, Sigmund Freud, si ha un approccio totalmente rivoluzionario nei confronti della follia. La scoperta dell’Inconscio, ad opera del padre della Psicoanalisi, riconsidera il rapporto tra “normalità” e “patologia” (follia): estremi questi di un continuum sul quale ogni individuo si colloca. Forze interne, nascoste nell’individuo influenzano comportamenti e percezioni e questo comincia ad essere rappresentato anche nell’arte (vedi ad esempio pittori come Dalì, con il movimento del Surrealismo).
Da quel momento in poi si diffonde nella cultura generale una visione diversa nei confronti del disagio mentale, fino ad arrivare ai nostri giorni in cui il “genio” e “l’artista” sono spesso per definizione “folli”.
Tesi rafforzata nel tempo anche dal constatare che vari artisti hanno realmente sofferto di un disagio mentale e subito ricoveri in ospedali psichiatrici. Il più conosciuto e controverso personaggio del mondo dell’arte, che con il suo vissuto e la sua arte ha affascinato non solo critici dell’arte ma anche il grande pubblico, è Vincent Van Gogh, il quale è stato, insieme ad altre personalità complesse del mondo dell’arte come E. Munch, James Ensor….e la lista potrebbe continuare all’infinito, uno dei primi ad utilizzare la pittura per rappresentare il proprio malessere interiore, il proprio stato di emarginato sociale, i propri disagi. I dipinti di questi artisti sono stati studiati in chiave psicoanalitica, come rappresentazione visiva del loro mondo interiore.
Concludendo, nella dimensione dell’arte la normalità dopo un po’ annoia, il lato oscuro dell’essere umano veicolato attraverso il genio artistico può trovare un canale di espressione socialmente accettabile e comunicare l’incomunicabile.
Agostino Russo